
I capitoli di un racconto senza tempo
A Gerusalemme si sono ormai conclusi i lavori per ultimare la seconda sezione del museo archeologico del Terra Sancta Museum: in vista dell’inaugurazione, abbiamo voluto ripercorrere la storia del museo e delle sue numerose anime insieme a Sara Cibin, nostra project coordinator in Giordania e referente del progetto museale a Gerusalemme.

La fondazione del Terra Sancta Museum da parte dei francescani e il legame con lo Studium Biblicum Franciscanum
«Il museo è stato fondato dalla Custodia di Terra Santa nel 1902», spiega Sara. Un museo francescano nella città di Gerusalemme esiste quindi da più di un secolo, e nasce con l’intento di conservare i reperti trovati nel corso delle spedizioni archeologiche: «Ai frati serviva un luogo dove mettere insieme tutte quelle cose che capitava di trovare nei santuari, nei conventi e nelle zone circostanti durante le spedizioni e gli scavi; è così che nasce quello che poi diventerà il Terra Sancta Museum».
Negli anni Trenta il museo viene poi affidato allo Studium Biblicum Franciscanum: «Cambia così anche collocazione: in origine la sala espositiva si trovava nella zona di San Salvatore, mentre ora si sposta verso la Flagellazione», spiega Sara. L’operazione richiede l’ampliamento dell’edificio preesistente, e «tutt’ora il museo occupa in parte gli spazi degli anni Trenta e in parte l’edificio più antico». Con l’intervento dello Studium Biblicum il museo si orienta sempre più verso la fruizione di studiosi specialisti, piuttosto che verso un pubblico ampio: «il museo era aperto solo su appuntamento, frequentato prevalentemente per ragioni di studio».
L’intervento di Pro Terra Sancta
Nel 2010, chi ha avuto l’idea di trasformarne la natura è il cardinale – allora Custode – Pierbattista Pizzaballa: Sara racconta come egli infatti «credeva fermamente cha la cultura sia – e debba essere – uno strumento per costruire un dialogo di pace dentro il mondo multiculturale di Gerusalemme e della Terra Santa tutta». Inizia così creazione di un museo che si rivolga a tutta la comunità, e la gestione dell’operazione viene affidata a Pro Terra Sancta.
«Abbiamo iniziato con una riorganizzazione del criterio espositivo»; Sara Cibin racconta come, fino a quel momento, i reperti fossero suddivisi solo geograficamente: «Il progetto precedente vedeva la corrispondenza della sala espositiva con il sito di scavo. Noi, invece, abbiamo immaginato un museo articolato in tre “capitoli” tematici, che aiutino il visitatore a orientarsi nella vastità e nella diversità delle voci di Gerusalemme e dei luoghi della Terra Santa».
1. Le tappe della vita di Gesù
«Nel primo “capitolo” ripercorriamo, un po’ come i pellegrini, i luoghi della vita di Gesù»: da Betlemme a Nazareth, passando per il Monte degli Ulivi, il Santo Sepolcro, Cafarnao, Tabgha; tutti luoghi noti e sfiorati dai lunghi viaggi di chi affronta un pellegrinaggio in Terra Santa. «Questa coincidenza nasce dal fatto che i frati avevano interesse nel fare scavi archeologici in quei luoghi che avrebbero permesso di approfondire le vicende narrate nei Vangeli»: racconta Sara che i frati sono andati a cercare «Cafarnao, che era persa, che non si sapeva più dov’era», e il «villaggio di pescatori dove c’era Pietro», alla ricerca di qualcosa che desse corpo alla loro verità. Questa stessa ricerca è stata messa alla base della prima sezione del museo archeologico del Terra Sancta Museum.
2. Il contesto storico
La seconda sezione approfondisce il contesto storico del periodo in cui è vissuto Gesù: le strutture sociali romane e le tracce della convivenza fra Romani ed Ebrei, gli oggetti che raccontano la quotidianità di allora: monete, ciotole, piatti, utensili di vario genere.
«L’idea è quella di offrire ai visitatori uno sguardo completo, largo, di com’erano questi luoghi nel tempo in cui vi abitava Gesù: mostrare loro com’era la vita di tutti i giorni, che mestieri si facevano, quali monete si usavano al mercato, cosa si mangiava e con quali supporti…».
3. Focus su argomenti specifici
A corredo di questi approfondimenti c’è una sezione composita, che offre «focus su argomenti che, per varie ragioni, hanno suscitato nel tempo l’interesse di archeologi e professori dello Studium Biblicum, che hanno continuato ad accrescere la collezione del museo». Gli argomenti sono diversi: «C’è un approfondimento sulla zona del Monte Nebo, per esempio; c’è la liturgia del periodo bizantino, e quindi le lampade che si utilizzavano, le ampolle che venivano date ai pellegrini per portarle via con sé, gli elementi architettonici e liturgici…» C’è una parte dedicata alle diverse lingue che sono esistite in Terra Santa nel corso dei secoli: il greco, il latino, l’ebraico, l’arabo, e anche «tutte le lingue antiche: il samaritano, il siriaco, il fenicio, tutte queste lingue antiche che sono testimoniate da varie iscrizioni, che disegnano la antica – e attuale – Babele di quel territorio».
Insieme alle iscrizioni sono raccolti nelle sale moltissimi oggetti provenienti dall’Egitto e dalla Siria; Sara sottolinea come sia importante tenere a mente che, siccome il museo esiste dal 1902, «ci sono innumerevoli oggetti che hanno viaggiato attraverso i paesi in momenti storici in cui non esistevano i confini di oggi». Di conseguenza «dalla Siria moltissime cose potevano raggiungere Gerusalemme, o viceversa, dalla Giordania attraversare il Giordano e arrivare a Gerusalemme o viceversa. Tutti i passaggi dall’Egitto, che oggi sono invalicabili, in periodi diversi della storia sono stati luoghi di scambio e di viaggio».

Il Terra Sancta Museum oggi: cosa c’è, cosa manca
Oggi sono stati completati i primi due “capitoli”, non senza affrontare qualche difficoltà: «Nel corso dell’allestimento della sala dedicata al Santo Sepolcro abbiamo dovuto trasportare giù dall’Orto del Getsemani delle colonne enormi”, sottolinea Sara con una risata l’immensità dei reperti e la fatica che il loro trasporto ha provocatp. Si tratta delle colonne originali del Santo Sepolcro, forse addirittura proprio della prima chiesa, quella costantiniana, che si trovava su quel luogo».
La fine dei lavori intorno alle prime due sezioni del museo archeologico ci porta vicini al compimento ultimo dell’allestimento museale, previsto per la fine di questa estate. A quel punto il racconto archeologico del Terra Sancta Museum sarà completo, pronto per chiudere uno dei cerchi che, uniti, creano un racconto senza tempo e senza fine.
Una rete di musei
Il Terra Santa Museum, infatti, nella sua concezione originale «non è un singolo museo, ma è pensato come una rete di centri museali che si completano e si parlano tra loro», formando un unico racconto corale articolato su più luoghi e su più punti di vista.
«Anche a San Salvatore stanno procedendo i lavori per completare il museo storico, il cui racconto inizierà circa dove finisce quello archeologico. Il museo archeologico arriva a sfiorare il Medioevo con oggetti legati ai Crociati e ai Mamelucchi; il museo storico che prenderà vita a San Salvatore esporrà reperti che rappresentano la Storia da questo momento in poi», spiega Sara. «L’idea è che agli “episodi” corrispondenti all’allestimento archeologico e a quello storico si aggiungano, nel tempo, tanti altri piccoli “episodi” autonomi ma ad essi legati, ovvero quei reperti che si trovano ancora nei loro luoghi di origine». Il Monte Tabor, il Monte Nebo, la stessa Nazareth: ognuno di questi luoghi dialoga con la missione del Terra Sancta Museum, e può essere fruito come una parte del grande racconto di quei luoghi.
Questa, in fondo, era l’idea originaria: un progetto museale che unisca i luoghi che racconta non solo narrativamente, ma anche fisicamente, diventando un vero sistema articolato di luoghi che si scambiano la voce.
