
Alessia e Alina: preziose come il nardo
«L’importanza di coinvolgere la comunità locale non è solo dare un lavoro o uno stipendio alle persone ma è dare loro dignità, identità e speranza»
Alessia e Alina si raccontano: la perdita di qualcuno di caro, la speranza di un futuro diverso per sé e per la Palestina intera.
Alina
«Mi chiamo Alina, ho 50 anni, vengo dall’Ucraina. Sono di religione musulmana, sono sposata e ho cinque figli (due femmine e tre maschi). Poco tempo fa uno dei miei figli è stato ucciso dai soldati israeliani».
Alina nasconde il viso: non vuole farsi vedere, né farsi fotografare. Concedere il racconto di quanto le è successo è già un grande dono; le immagini, il nome, sono troppo. “Alina” è infatti un nome d’arte, un velo dietro cui la vera Alina racconta sottovoce la sua storia.

È l’Ucraina il suo Paese natale, e oggi è la Palestina ad accoglierla. «Mio marito è palestinese, ma è venuto in Ucraina per studiare; è lì che ci siamo conosciuti. Abbiamo vissuto in due Paesi diversi fino a quando, insieme ai nostri figli, ci siamo stabiliti in Palestina, vicino a Betania».
Qui Alina ha studiato informatica, all’università Al Quds di Abu Dis; il suo vero amore però è sempre stato l’arte. «Sono brava nel disegno e anche nel ricamo. Quando ho saputo da mia figlia del workshop di candele ero felice, perché mi sono sempre piaciute tanto le candele. Specialmente amo il loro profumo e l’atmosfera che creano quando vengono accese».
Lavorare nel piccolo laboratorio di Betania è perciò perfetto per lei. «Ci lavoro solo per due giorni a settimana perché nel resto del tempo insegno russo, in una scuola russa-ortodossa, ma anche in questo breve tempo è un lavoro che mi dà tanto. Inoltre mio marito dopo l’aggravarsi della situazione dal 7 ottobre 2023 ha perso il lavoro, e un piccolo stipendio in più fa davvero comodo».
Oltre allo stipendio e alla possibilità di fare arte, per Alina questo lavoro è un aiuto emotivo e psicologico importante. «Da quando mio figlio è morto, il mio stato d’animo è profondamente cambiato; uscire da casa per andare al laboratorio di candele mi aiuta molto. Quasi non lo considero un lavoro perché mi diverto tanto quando vengo qui: ho conosciuto tante nuove persone e anche creato amicizie con le mie colleghe. Quando vengo al laboratorio di candele, la mia giornata è piena di felicità».
Alessia
«Mi sono ritrovata senza lavoro, con l’incertezza del futuro dovuta agli eventi politici e la salute di mio padre che peggiorava sempre di più. Purtroppo, è venuto a mancare l’8 febbraio 2024»
«Mio padre, l’architetto Osama Hamdan, era il responsabile del progetto di Betania e lo ha seguito fino a due mesi prima della sua morte: purtroppo, è venuto a mancare l’8 febbraio 2024. Due mesi più tardi ho iniziato io a lavorare a Betania come responsabile delle attività con le donne».
Negli occhi azzurri di Alessia riluce con fierezza il ricordo del padre: dal suo viso risulta cristallino l’amore e il dolore per la sua perdita, ma anche l’orgoglio di poter, oggi, portare avanti una parte del suo lavoro – e della sua missione, in cui credeva fermamente.

«Ho 26 anni, sono nata a Torino e oggi vivo a Gerusalemme. Sono nata da padre palestinese, di religione musulmana, e madre italiana, di religione cristiana». Dalle parole che Alessia sceglie per iniziare a raccontarsi si intuisce il valore che ha per lei il multiculturalismo dal quale proviene, e forse è anche da qui che viene la sua curiosità verso i modi che hanno le persone per comunicare tra loro: «Ho studiato scienze della comunicazione presso l’Università di Perugia; poi nel 2021 sono tornata a Gerusalemme e ho iniziato a lavorare in un’agenzia di viaggi».
Il settore del turismo è però difficile, soprattutto in un Medio Oriente politicamente e socialmente instabile: «A ottobre ho perso il lavoro a causa della mancanza di turisti: il settore del turismo è stato colpito duramente, tantissime attività sono state costrette a chiudere. Contemporaneamente mio padre stava lottando contro il cancro; è stato un periodo estremamente difficile per me, mi sono ritrovata senza lavoro, con l’incertezza del futuro dovuta agli eventi politici e la salute di mio padre che peggiorava sempre di più».
Ma nelle donne coraggiose che hanno accettato di iniziare a lavorare come artigiane, rimboccandosi le maniche e trovando la forza di ricominciare, Alessia ha trovato speranza e ispirazione per continuare a credere che quello che fa in Palestina ha un valore profondo.
«Tra me e queste donne si è creato un legame molto forte – racconta Alessia, – e nonostante la grande differenza di età è nata una grande amicizia. Di loro rispetto e ammiro la forza e la determinazione, la capacità che hanno di sorridere nonostante le difficoltà che affrontano ogni giorno.» Come fiori che sbocciano, a Betania le donne rinascono dalle difficoltà del presente, più intensamente che mai: come il nardo, che quando viene spezzato rilascia il suo profumo più dolce.
Alessia ha anche un profondo legame personale con questo progetto: «Questo progetto per me significa molto a livello personale perché è legato alla professione di mio padre». Osama Hamdan lavorava guidato da un’idea che ora la figlia fa sua: «Mio padre diceva sempre: “L’importanza di coinvolgere la comunità locale non è solo dare un lavoro o uno stipendio alle persone ma è dare loro dignità, identità e speranza”».
Per Pasqua Pro Terra Sancta ha commissionato al piccolo laboratorio di Betania trentamila profumatori al nardo, da inviare per posta ai donatori: questo, oltre che essere un omaggio per chi s’impegna a donare per la Palestina e per la Terra Santa tutta – per farli sentire vicino a quei luoghi, per regalare una fragranza fresca che li riporti lì – è stata un’occasione per le artigiane di mettersi alla prova. Grazie a questo ordine hanno potuto lavorare per mesi, trascorrendo ogni giorno una parte della giornata a selezionare le fragranze, a versare con cura la cera negli stampi, guadagnando uno stipendio: un lavoro è necessario per colmare il vuoto della guerra, dell’impossibilità di muoversi, del calo del turismo che ha lasciato a casa decine di lavoratori palestinesi.