
Maisa e Saida: preziose come il nardo
«Questo impegno ha positivamente cambiato la mia vita e il mio umore: non avendo avuto la possibilità di continuare gli studi, questo lavoro artigianale è fatto per me».
La storia di Saida e Maisa, due donne di Betania che oggi stanno riscrivendo il proprio futuro.
Maisa
«Il mio desiderio grande sarebbe poter viaggiare»
«Questo lavoro è stato per me una boccata d’aria fresca, non avendo la libertà di movimento per trovare un lavoro»: una boccata d’aria densa del profumo dolce e speziato dei fiori d’oriente riempie i polmoni di Maisa, tra le mura in pietra del laboratorio artigianale di Betania.
Maisa ha un viso dolce – come il profumo del Nardo: gli occhi scuri rivelano in trasparenza una tristezza sottile, il velo nero le incornicia il viso. Mentre lavora è assorta, ma il volto non abbandona quell’espressione pacata e un po’ enigmatica che rimane fissa nel suo sguardo.

«Ho 42 anni e sono di religione musulmana. Sono nata in Yemen, ma quando avevo 14 anni io e la mia famiglia siamo venuti a vivere in Palestina, da dove venivano i miei genitori; adesso vivo ad Abu Dis, vicino a Betania. Vengo da una famiglia numerosa di 7 sorelle e 2 fratelli». Maisa è stata una giovane sposa: «Mi sono sposata giovane a 19 anni e ho avuto subito i miei due figli»
«Dopo qualche anno in Palestina ho iniziato i miei studi di Amministrazione Sanitaria all’università Al Quds di Abu Dis: non è stato facile studiare avendo famiglia, ma ci sono riuscita. Sono fiera della mia laurea». «Ci sono riuscita», un sorriso fiero le incurva le labbra mentre rivela che è «fiera della mia laurea». Nonostante gli studi, però, un lavoro non lo aveva mai trovato, fino a quando non ha incrociato il progetto di artigianato locale: «Tramite un’amica che aveva partecipato al workshop di candele organizzato da Pro Terra Sancta, ho saputo che ci sarebbe stata l’opportunità di lavorare in un laboratorio di produzione di candele. All’inizio, la cosa mi ha incuriosita sotto l’aspetto economico: volevo guadagnare un po’ di soldi perché ero senza lavoro».
È difficile essere senza lavoro in una Palestina in cui tutto è fermo: alla prima leva che l’ha avvicinata al progetto, ovvero la possibilità di un guadagno fisso, si è aggiunta per Maisa la prospettiva di una libertà tutta nuova: «La vita adesso [dopo l’inasprimento del conflitto iniziato il 7 ottobre 2023, n.d.r.] è soffocante: gli spostamenti tra le città palestinesi sono sempre più difficili, i checkpoints sono aumentati e si passano ore in coda per attraversarli. Anche la paura che i miei giovani figli si trovino in pericolo è aumentata, e fa male».
Questa chiusura rende anche terribilmente difficile cercare un lavoro: «Prima del 7 Ottobre Israele dava permessi ai palestinesi per lavorare in Israele, dopo il 7 Ottobre tutto si è fermato e trovare un’occupazione è impossibile». Senza libertà di movimento è impossibile trovare un lavoro, ci si sente imprigionati; mentre per Maisa «il mio desiderio grande sarebbe poter viaggiare».
Oltre all’aspetto economico in lei preme forte, oggi, la conquista di una libertà: «Dopo aver iniziato questa attività di produzione di candele mi sono resa conto che mi piaceva anche perché mi dava la possibilità di uscire tutti i giorni di casa e incontrare nuove persone e costruire relazioni. Ho incontrato tante persone italiane, tramite loro ho conosciuto una cultura e religione diversa dalla mia ed è stato per me molto interessante».
Saida
«La lontananza dalla mia famiglia e il divieto di viaggiare mi hanno causato tanta sofferenza»
Anche per Saida, come per Maisa, il desiderio più grande sarebbe stato quello di poter viaggiare: lei, però, avrebbe voluto poter tornare a casa. Saida infatti non è palestinese, ma giordana: «Sono nata ad Amman da genitori palestinesi rifugiati, originari di una città chiamata il Lod (attualmente Israele). Non ho mai ultimato i miei studi. Mi sono sposata a 15 anni e mezzo con un palestinese di Betania, quindi ho dovuto lasciare la mia famiglia e vivere in un posto che non conoscevo».

Al vivere da giovanissima in un Paese sconosciuto, per Saida si è aggiunta l’impossibilità di ritornare a casa, anche solo per riabbracciare la sua famiglia: «Per dieci anni ho avuto solo un permesso di soggiorno rilasciato dal Ministero degli Interni israeliano. Questo permesso non mi consentiva di viaggiare: quindi non ho mai potuto visitare la mia famiglia in Giordania. Solo dopo dieci anni in Palestina ho ottenuto la carta d’identità palestinese».
Dieci anni senza poter rivedere sua madre, suo padre, i suoi fratelli: dieci, lunghi anni nei quali per Saida la felicità di potersi costruire una vita tutta sua, una famiglia tutta sua (ha quattro figli, Saida, due bimbe e due bambini – che ormai sono dei giovani) era screziata dal dolore delle difficoltà del presente, lì in Palestina, e dalla paura del futuro.
Saida ha sempre amato l’arte: le sue dita leggere negli anni hanno creato ceramiche e disegni di tela. «Sono sempre stata una persona creativa e amo l’arte e le produzioni artigianali: ho partecipato a tanti corsi, di ricamo, di ceramica… Nonostante le mie capacità, però, non ho mai potuto iniziare un’attività perché necessita di capitale».
In questo il progetto “Noi, preziose come il nardo” è stato provvidenziale: «Ero molto entusiasta di iniziare questa attività perché le risorse erano presenti e dovevo solo mettere in pratica la mia esperienza e di come migliorare la produzione di candele. Questo lavoro mi dà molta soddisfazione e riesco ad esprimermi con creatività: trovo piacere nel realizzare nuove forme di candele con colori diversi, profumazioni nuove..! Torno a casa molto entusiasta della mia giornata al laboratorio e faccio vedere le foto ai miei figli di quello che ho prodotto; questo mi rende molto orgogliosa»
È «orgogliosa», Saida, di quello che realizza con le sue mani: la possibilità di inventare forme, colori e profumi, di inventare una nuova atmosfera per una stanza in base alla fragranza di cui s’impregna l’aria, la fa sentire protagonista della sua storia. «Questo impegno ha positivamente cambiato la mia vita e il mio umore. Non avendo avuto la possibilità di continuare gli studi, questo lavoro artigianale è fatto per me. Quando lavoro, dimentico i miei problemi e il tempo passa velocemente: torno a casa soddisfatta e continuo a pensare come poter migliorare i prodotti e come crearne di nuovi».
Il volto di Saida è amichevole, accogliente: il suo sorriso sembra un invito discreto a condividere un momento di apertura, di tenerezza. Nonostante le difficoltà che ha attraversato e che vive tutt’ora, non c’è nulla di respingente nella sua figura. «Con il guadagno di questa attività, sono riuscita a dare di più ai miei figli, cosa che non potevo fare prima. Questo lavoro mi ha dato speranza e positività: spero tanto che avremo la possibilità di continuarlo».

Per Pasqua Pro Terra Sancta ha commissionato al piccolo laboratorio di Betania trentamila profumatori al nardo, da inviare per posta ai donatori: questo, oltre che essere un omaggio per chi s’impegna a donare per la Palestina e per la Terra Santa tutta – per farli sentire vicino a quei luoghi, per regalare una fragranza fresca che li riporti lì – è stata un’occasione per le artigiane di mettersi alla prova. Grazie a questo ordine hanno potuto lavorare per mesi, trascorrendo ogni giorno una parte della giornata a selezionare le fragranze, a versare con cura la cera negli stampi, guadagnando uno stipendio: un lavoro è necessario per colmare il vuoto della guerra, dell’impossibilità di muoversi, del calo del turismo che ha lasciato a casa decine di lavoratori palestinesi.