
Aggiornamenti dal Libano
«In Italia ti senti sempre al sicuro; qui invece c’è sempre l’idea che qualcosa possa succedere»
Dall’Italia al Libano: la precarietà quotidiana
Silvia Zucconelli lavora nell’Ufficio Progetti di Pro Terra Sancta, e da quattro mesi si è trasferita da Milano a Beirut per seguire l’avvio di un nuovo progetto finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS). Era già stata in Libano prima di trasferirsi, conosceva già i colleghi, le persone, le strade di Tripoli e della capitale; ma viverci è diverso, vivere lì permette di affinare lo sguardo e scorgere ciò che sta dietro l’apparente normalità della vita libanese.
«È molto strano vivere in questa situazione. Vivendo qui, risulta molto più chiaro come le persone, che ogni giorno vanno avanti con la loro vita, e magari sembrano anche felici, in realtà non stanno affatto bene. È qualcosa che non realizzi subito,» spiega Silvia, «lo capisci dopo un po’. Quando arrivi qui, tutto sembra molto bello, ma dopo un po’ capisci che c’è sempre un po’ di tensione. Per me è un grandissimo scarto, rispetto alla vita in Italia, svegliarmi ogni giorno immersa nell’incertezza del futuro; mi riferisco anche al futuro immediato, imminente. Bombarderanno oggi? Domani? Tra qualche ora finirà questa parvenza di pace?»

Attualità: il piano di disarmo, i villaggi del sud presi da Israele
Il Libano infatti continua a vivere nella paura e nella precarietà. Proprio in questi giorni gli Stati Uniti hanno aumentato la pressione sul governo libanese per costringere Hezbollah a consegnare le armi: qualche giorno fa infatti hanno chiesto a Beirut un impegno formale per avviare il piano di disarmo. È un ultimatum più che una trattativa: senza questo impegno, da parte degli USA non ci sarà dialogo né pressioni su Israele per un cessate il fuoco. Hezbollah però pretende che sia Israele a fare il primo passo, ritirando le truppe dal sud del Paese e fermando gli attacchi.
Israele infatti ha già occupato 29 villaggi nel sud del Libano. Questi 29 villaggi sono la casa di migliaia di persone che oggi non possono tornarvi, e non sanno se e quando potranno mai farlo. Per questo motivo Hezbollah non si fida a disarmarsi: se restituissero le armi senza avere garanzie concrete, non potrebbero più fermare l’avanzata di Israele in caso di attacco.
Nel frattempo è stato richiesto all’esercito libanese di presentare un piano di disarmo entro le prossime tre settimane. Se verrà accettato, dovrà essere attuato entro dicembre; altrimenti, dal Libano ci si aspettano nuovi bombardamenti da parte degli stati vicini – Israele, ma anche la Siria. Girano infatti voci di un possibile intervento siriano, che fa parte degli accordi tra Siria e Israele: questa eventualità tratteggia uno scenario di violenze diffuse, perché oggi il Libano non ha mezzi adeguati per resistere a un’invasione su larga scala.
Intanto, la vita continua. I progetti
«La contraddizione è che, nonostante tutto, per ora la vita continua come se niente fosse», spiega Silvia. Infatti oggi Beirut brulica di eventi, festival, turisti che arrivano e espatriati che tornano in Libano per le vacanze. È per questo che si pensa, come aggiunge Fadi, project coordinator dell’ufficio di Pro Terra Sancta a Beirut, che «Fino a fine settembre, probabilmente, non succederà nulla. Nessuno ha interesse che accada qualcosa adesso, nel momento in cui l’economia ha ricominciato un po’ a girare: per ora si mormora, si immagina, ma bisognerà aspettare settembre per sapere davvero cosa accadrà».
Intanto, quindi, la vita continua, seppur in un’immobile attesa; e continuano anche i nostri progetti, a Tripoli, a Beirut e nel nord del Paese. A Beirut si attende l’apertura del nuovo dispensario medico, prevista per settembre: «Abbiamo già iniziato con la distribuzione dei medicinali, anche se l’apertura ufficiale sarà tra qualche settimana. Stiamo facendo scorta di medicine in vista dell’apertura,» racconta Fadi, «e aspettiamo di concludere gli accordi con l’ospedale per poter assumere i medici che faranno check-up e visite ai pazienti in loco».
Anche il progetto AICS sta prendendo avvio: lo scopo del progetto è la riqualificazione di alcune zone del nord del Paese allo scopo di rendere accessibili nuovi spazi e far ripartire il turismo. «Abbiamo da poco fatto il primo incontro ufficiale con i donatori, i partner e le municipalità coinvolte», racconta Silvia, «e i partner hanno iniziato le attività preliminari di analisi e formazione del personale». Uno dei partner coinvolti è la National Autistic Society, che ha avviato corsi di formazione e programmi di inserimento nel mondo del lavoro; sono iniziate anche le mappature e le analisi socio-economiche delle municipalità coinvolte, per comprendere al meglio i bisogni e le soluzioni da proporre.
«Abbiamo anche avviato l’iter per selezionare l’impresa che si occuperà della riqualificazione di un grande parco pubblico. Questo grande spazio, pieno di piante e ulivi, potrà ospitare mercatini, eventi comunitari e attività anche dopo la fine del progetto», aggiunge Silvia, «diventando un punto di riferimento e aggregazione per la comunità locale».
«Vivere qui è straniante. In Italia ti senti sempre al sicuro. Qui invece c’è sempre l’idea che qualcosa possa succedere», conclude. E aggiunge: «D’altra parte, proprio per questo è lampante l’impatto che hanno qui i progetti che proponiamo». Proprio a causa dell’incertezza, dell’instabilità, è importante che ci siano progetti che mirano a costruire qualcosa di solido e duraturo, che diano corpo alla speranza di poter progettare un futuro.