Per Anjie e Anjoun

Emma Garroni18 Luglio 2025

I terribili fatti di Sweida e i conseguenti bombardamenti israeliani a Damasco hanno nuovamente messo in luce le fragilità di una Siria che vive ancora nell’instabilità.

Le ferite della guerra e la paura sono ancora vive nel cuore delle persone: due colleghi, Andrea Avveduto e Giacomo Pizzi, nei giorni scorsi hanno avuto modo di conoscerle e guardarle da vicino, nel corso di un viaggio che da Damasco è arrivato a Knaye, nella provincia di Idlib. Pubblichiamo il racconto del loro viaggio.

Quando le bombe israeliane cadono sul ministero della difesa, Damasco è piena di vita. I turisti, quasi tutti siriani che ora vivono all’estero, affollano nuovamente la moschea degli Ommayadi che custodisce la testa di Giovanni Battista. Per le vacanze estive tornano a visitare Damasco, passeggiano nei suq di Aleppo che oggi riprendono vita, oppure vanno alla ricerca di parenti e amici che non vedono da almeno dieci anni. Sono pochi quelli che tornano per restare, ma sono curiosi di capire se quelle promesse di benvenuto che illuminano i pannelli del controllo passaporti al confine col Libano vengono effettivamente messe in atto. “Benvenuti nella nuova Siria signori, la vostra madre patria. Ora ricostruiamola insieme”.

Promesse che si infrangono subito dopo contro chilometri di palazzi rasi al suolo, mezzi distrutti o fatiscenti. E poi c’è l’elettricità che ancora non arriva, l’acqua che non è ancora una certezza, poiché la sua erogazione è gestita da gruppi e fazioni che devono trovare accordi più solidi col nuovo governo di Al-Sharaa.

I palazzi e le case però si ricostruiscono: qualcosa è già stato fatto e col tempo, con i giusti investimenti potrebbero tornare anche la l’acqua e l’elettricità. Ci speriamo anche noi davanti alle strade stracolme di gente con buste e sacchetti colorati che passeggia da un negozio all’altro, che realizza di fronte ai nostri occhi quella speranza cui facciamo affidamento con ogni progetto che avviamo in queste terre.

Però poi ci sono i fatti come le atroci uccisioni di Swaida, che ci ricordano una triste verità: manca la fiducia e le persone non si sentono così sicure come sembra.

Le esplosioni che hanno colpito Damasco il 16 luglio 2025
Le esplosioni che hanno colpito Damasco il 16 luglio 2025

Manca una fiducia che deve costruirsi lentamente, e che fatica a diventare solida di fronte a un governo di cui, per molti cittadini – soprattutto se appartenenti ad una minoranza religiosa – non è semplice capire le strategie politiche e sociali a lungo termine. A pochi chilometri dal confine tra Siria e Turchia sorgono due villaggi – Knaye e Yacoubieh – dove la fragilità delle promesse dello Stato si fa visibile: nei graffiti sui muri delle chiese, nel passo veloce di chi cammina per strada cercando di raggiungere un luogo sicuro. Qui la piccola minoranza cristiana ha vissuto anni terribili anche nel periodo del regime di Assad: rimasta sempre territorio extra-governativo, la zona di Knaye e Yacoubieh era oppressa senza alcun riguardo dai gruppi più radicali. Al Nusra, Daesh e i ribelli di varia natura si sono alternati al governo di questo luogo, promuovendo una dura politica repressiva.

Dopo la caduta di Assad e la riunificazione del paese una nuova politica di tolleranza viene promossa dagli stessi gruppi che fino all’anno scorso discriminavano e opprimevano la comunità cristiana. “Non sono più gli stessi di prima”, spiega Josif, un agricoltore nato e cresciuto nel villaggio di Knayeh che non ha mai voluto abbandonarlo. “L’origine è quella, ma la mentalità è cambiata. Se vogliono governare davvero devono garantire stabilità e sicurezza: per questo ci proteggono”. Però le donne cristiane preferiscono girare con il velo, “per sicurezza”; però i sacerdoti fanno attenzione quando camminano per le strade indossando l’abito religioso, prima di raggiungere le chiese dove, intanto, sono tornate esposte le croci. Non si ha fiducia nel cambiamento affermato e promesso, e si continua a temere il peggio: “Non ne possiamo più della guerra”, racconta Miriam, una ragazza armena di sedici anni che da grande vorrebbe fare la farmacista. “Non si ha mai pace. Anche in questi giorni siamo preoccupati per quello che sta accadendo”.

È passato solo un mese da quando un attentatore suicida è entrato nella Chiesa ortodossa di Mar Elias a Dwela’a, a soli 15 minuti dalla città vecchia, uccidendo 25 persone e lasciando altre decine di feriti. Tra le vittime c’è Anjie una ragazzina di 15 anni che quella sera di metà giugno stava andando a Mar Elias per accendere una candela e pregare per l’esame del giorno dopo.

Noi la conoscevamo perché in questi anni abbiamo sostenuto la famiglia tramite la distribuzione di medicinali. “Non doveva essere lì” ci racconta il padre, “di solito andava a pregare in un’altra chiesa, ma quella sera per fare prima, era andata a Mar Elias perché è più vicina”. Anjie è stata colpita quattro volte dai proiettili che dell’attentatore prima che questo entrasse nella chiesa.

Ora la famiglia è terrorizzata e chiede protezione: “Abbiamo paura, e non ci fidiamo del governo, anche se ora ha messo la polizia a protezione delle chiese durante le messe domenicali”.

Le promesse di protezione di Al-Sharaa non convincono nemmeno Nabila, la zia del piccolo Anjoun. “Rimane sempre il dubbio – dice- che gli esponenti del governo siano direttamente coinvolti, anche se prendono le distanze e parlano di unità e pace”.

Anjoun nell’attentato di Mar Elias ha perso il papà. La madre ci racconta che lo cerca continuamente e ancora aspetta di andare a prendere il gelato con lui come gli aveva promesso dopo la preghiera di quella sera. Non vuole mai lasciare la mamma: sono passati solo pochi giorni da quando è riuscito a tornare a scuola, dopo quasi un mese di assenza. Anjoun frequenta l’asilo di Tabbaleh, gestito dalle suore e sostenuto da Pro Terra Sancta nelle sue attività di accoglienza e supporto alle famiglie in difficoltà. È un ambiente familiare, e sembra che qui ogni tanto Anjoun ritrovi attimi di serenità; ma è solo l’inizio di un percorso di accompagnamento, che sarà lungo e doloroso, ma necessario affinché la vita ricominci.

Alla mamma di Anjoun e alla famiglia di Anjie promettiamo di non lasciarli soli in questa situazione: continueremo ad aiutarli, ma soprattutto vogliamo esserci per condividere con loro ciò che verrà. Non vogliamo lasciarli soli.

Al momento ci rendiamo conto del fatto che, oltre a fornire supporto materiale, questo è il vero aiuto che possiamo dare: creare tentativi di incontro per costruire una nuova fiducia, e restare accanto a chi di fiducia non ne ha più per non lasciar morire la speranza.

Memoriale delle vittime nella chiesa di Mar Elias, Damasco
Memoriale delle vittime nella chiesa di Mar Elias, Damasco